Gli straordinari effettuati da un medico dell’Asl Rieti, in servizio presso l’Hospice San Francesco, vanno regolarmente retribuiti anche se per il loro svolgimento mancava la specifica autorizzazione da parte dell’azienda. La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso dell’Asl, ha così messo la parola fine a una vertenza che ha visto opposti, per anni, un dirigente medico e l’ente sanitario in merito al pagamento di 34 mila 827 euro, frutto di prestazioni svolte oltre il regolare orario di lavoro. L’azienda è stata condannata a pagare anche le spese processuali e professionali per oltre 4 mila euro.
La vicenda
Al giudizio della Cassazione civile (sezione L, presidente Adriana Doronzo) si è giunti dopo che l’Asl si era già vista respingere sia dal tribunale di Rieti, che dalla Corte di Appello, l’opposizione a versare la cifra reclamata dal medico per l’attività straordinaria svolta tra luglio 2012 e aprile 2014. Nei due gradi giudizio i giudici avevano ritenuto che dall’esame della copiosa documentazione di causa prodotta agli atti emergesse che lo svolgimento da parte del dottore delle ore eccedenti il debito orario istituzionale era stato autorizzato – quantomeno implicitamente – dall’azienda, che era ben a conoscenza dei gravosi compiti svolti dallo stesso e dell’effettuazione delle ore aggiuntive necessarie per coprire i servizi presso l’Hospice. In aggiunta, la direzione sanitaria aveva evidenziato le difficoltà in cui il medico si trovava a lavorare, quale responsabile ed unico medico operante nella struttura, riconoscendo espressamente lo svolgimento da parte dello stesso delle ore eccedenti il numero consentito, effettuate per la necessità dell’Azienda di dover erogare prestazioni di terapia del dolore e di medicina palliativa. Nonostante la consapevolezza della situazione e la presa d’atto delle difficoltà di garantire la copertura dei servizi, certificata dal direttore sanitario con una nota scritta, l’Asl aveva ugualmente contestato il pagamento richiesto sulla base del fatto che una vera e propria autorizzazione ufficiale non c’era stata. Il ricorso dell’ente si era basato sul fatto che non esisteva la prova che l’Asl fosse a conoscenza delle ore richieste e contestava la conclusioni raggiunte dai giudici della Corte di Appello che non avevano tenuto conto della mancanza dell’autorizzazione amministrativa per eseguire e retribuire prestazioni eccedenti l’orario di lavoro. Sarebbe stato quindi onere del medico produrre la documentazione in sede di discussione.
La decisione
I giudici della Cassazione hanno giudicato infondati i motivi del ricorso, rilevando “che il tema degli orari di lavoro della dirigenza medica non ha carattere unitario, sussistendo figure, come il dirigente di struttura complessa, per le quali la contrattazione non prevede orari esatti di lavoro, ed altre, come quelle degli altri dirigenti medici rispetto alle quali un orario (38 ore settimanali) è stato mantenuto già dalla contrattazione collettiva”. E hanno aggiunto: “Le prestazioni richieste al medico rientravano, per quanto accertato dal giudice del merito, tra le prestazioni richieste, in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell’attività istituzionale ordinaria ed al previsto debito orario, come tali regolarmente autorizzate”. Non ultima, è stata poi richiamata la presenza agli atti della delibera del direttore sanitario che certificava l’autorizzazione implicita allo svolgimento di ore eccedenti da parte del dottore.