Libro bianco contro gli appalti truccati, esplode a Rieti la prima inchiesta sulla corruzione

21/09/2021
1981: La distribuzione dell'opuscolo
1981: La distribuzione dell'opuscolo
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E’ stata la prima inchiesta sugli appalti truccati nel Reatino e anche il primo tentativo compiuto dalla magistratura di scavare negli incestuosi rapporti tra politica e affari. Una magistratura che, però, nel 1981 non disponeva di quei sofisticati strumenti di indagine (a partire dai vari sistemi di intercettazione), destinati a rivelarsi decisivi in altre successive inchieste del filone di Tangentopoli, esplosa dieci anni dopo con Mani Pulite e che anche a Rieti registrò filoni di rilevanza nazionale. Avvenne con il caso Crea, che spedì sotto processo per corruzione politici dei maggiori partiti locali (quasi tutti assolti con varie formule, alcuni patteggiamenti di pena e prescrizioni), accusati di aver incassato tangenti per favorire la nascita della Sogea, la società mista pubblico-privato che ha gestito il servizio idrico fino all’arrivo di Aps. Un’indagine scattata con anni di ritardo a causa di depistaggi e abili insabbiamenti, legata al ritrovamento di “pizzini” sui quali un amministratore registrava date, importi e le iniziali dei beneficiari dei pagamenti. Ancora, la vicenda Teknopolimeri, che vide il coinvolgimento dei vertici del Ministero per l’imprenditoria giovanile, e l'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza sulle bustarelle pagate nel 1990 da un imprenditore in Provincia per ottenere gli appalti, conclusa con le condanne definitive per concussione e corruzione di otto imputati.  

La storia

Ma, quella che quarant’anni fa mise in subbuglio il mondo politico e imprenditoriale locale, fu la denuncia di Angelo Di Mario, costruttore romano, titolare di una ditta che produceva (tutt’ora è in piena attività) conglomerato bituminoso in un impianto a Posta, lungo la via Salaria. La sua fu un’iniziativa clamorosa: siccome aveva il sospetto che la magistratura procedesse troppo lentamente nell’accertamento dei fatti descritti nell’esposto presentato nel 1981 - e prima ancora nel 1979, con una lettera inviata alla Provincia dove anticipava quello che poi sarebbe avvenuto a livello giudiziario - si trasformò in editore e stampò un libro bianco in cui elencava, secondo la propria ricostruzione, i retroscena collegati all’assegnazione di ventitre appalti, da parte di Provincia (19) e Comune (4), per la manutenzione delle maggiori strade provinciali. Lui era stato escluso, ma poi il Tar del Lazio, in un caso, gli aveva dato ragione accogliendo il suo ricorso. Un opuscolo di 30 pagine, indirizzato “ai cittadini di Rieti”, preannunciato a mezzo stampa e distribuito una domenica mattina nella centrale piazza del Comune, con le persone in fila per ricevere il libello contenente i particolari sulle presunte aste truccate.

Le reazioni

L’eco dell’iniziativa fu notevole, a Roma le direzioni dei partiti ai quali appartenevano anche alcuni rappresentanti indagati che aspiravano a conquistare un seggio in Parlamento alle elezioni del 1983, seguirono con attenzione gli sviluppi della vicenda, mentre a livello locale l’intera storia tenne banco a lungo in diverse occasioni pubbliche. L’epilogo dell’inchiesta non fu quello sperato da Di Mario, l’ufficio Istruzione non individuò responsabilità a carico dei politici (i pagamenti delle presunte tangenti non trovarono riscontri se non in generiche affermazioni di alcuni testimoni) e, dopo due anni, come sollecitato anche dalla procura della repubblica guidata da Gaetano La Sala, ottenne l’archiviazione del procedimento.

Le intercettazioni telefoniche (furono messi sotto controllo per quindici giorni solo i telefoni fissi del titolare di un’impresa, indicato nell’esposto come il collettore delle tangenti) diedero esito negativo, i testimoni indicati da Di Mario non fornirono conferme decisive e, così, si fece strada l’ipotesi che l’imprenditore avesse agito perché convinto della volontà di altri di estrometterlo in quanto estraneo a sistemi locali consolidati di aggiudicazione delle gare. L’indagine confermò, comunque, che gli appalti erano truccati e questo originò un altro filone di inchiesta sfociato in un processo nei confronti di diversi imprenditori per turbativa d’asta.

I processi

L’impresario non si diede per vinto, presentò contro il giudice istruttore Marcello Liotta alcuni esposti al Csm, alla Presidenza della Repubblica e alla Corte di Appello, accusandolo di aver “insabbiato” l’indagine, ma a sua volta fu accusato di calunnia, processato dal tribunale di Roma e assolto nel 1989 per l’assenza dell’elemento psicologico del reato: l’imputato non voleva accusare specificatamente il magistrato, ma solo far risaltare le proprie ragioni.

In realtà Liotta, uno dei giudici più attenti e scrupolosi che il tribunale reatino può vantare nella sua storia, oggi in pensione, di quell’istruttoria non si era mai occupato perché era stata condotta e conclusa dal suo predecessore Alberto Caperna,  scomparso nel 2012 quando era procuratore aggiunto a Roma, e lui si limitò solo a firmare l’atto pochi giorni dopo essere giunto in Sabina, proveniente dalla Pretura di Sampierdarena dove aveva rivestito il primo incarico dopo aver vinto il concorso. Angelo Di Mario fu poi processato per calunnia dopo la denuncia di alcuni politici, ma anche in quel caso fu assolto dal tribunale di Rieti.