Referendum sulla giustizia, confronto a Rieti tra il giudice Palazzi e l'avvocato Caiazza

27/05/2022
Il convegno
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Ultimo miglio per i referendum sulla giustizia, all’esame degli elettori il 12 giugno voto il 12 giugno, consultazione abbinata in molti casi alle elezioni amministrative locali, come nel caso di Rieti, dove la sezione della Camera Penale è riuscita ad allestire un confronto-dibattito tra due esponenti di livello in rappresentanza dei fronti del Si e del No. Da una parte il magistrato Mario Palazzi, vecchia conoscenza reatina per essere stato negli anni 2000 uno dei pm di punta a piazza Bachelet, oggi sostituto alla Dda di Roma e titolare di alcune delle più scottanti inchieste su appalti pubblici e criminalità organizzata, dall’altra Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione nazionale delle Camere penali, legale dell'ex presidente della Sebastiani basket, Gaetano Papalia, per vicende legate alla società sportiva.  Entrambi attivi protagonisti della campagna referendaria, hanno ribadito le proprie tesi davanti a una platea di avvocati, e non solo (presenti giudici, sostituti, il presidente del tribunale di Rieti e quello del Consiglio dell’ordine forense) che, come poche volte accade, ha affollato la sala di un centro convegni.

Informazione carente

E’ stata la dimostrazione dell’interesse suscitato dalla consultazione referendaria, “pur di fronte alla scarsa informazione registrata attorno a certi temi – ha argomentato l’avvocata Morena Fabi, presidente della Camera penale reatina – che non consente all’opinione pubblica di andare alle urne con un’adeguata preparazione. Per noi penalisti è stata una scommessa e ci siamo attivati in ogni modo, andando anche in carcere con Sabina Radicale a raccogliere le adesioni dei detenuti a sostegno dei quesiti e organizzando la raccolta firme in più punti della città.”

Scontata la distanza di posizioni tra il magistrato Palazzi e l’avvocato Caiazza, soprattutto su due dei cinque quesiti che maggiormente hanno acceso il confronto: la modifica della custodia cautelare, nel punto in cui viene motivata con il rischio di reiterazione del reato da parte dell’indagato, e l’abolizione della legge Severino che prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna.

Nessun abuso

Palazzi dice “basta a un’informazione errata sulla custodia cautelare e basta parlare di abusi. Non dimentichiamo che le richieste del pubblico ministero devono superare il vaglio del gip e poi anche del tribunale del Riesame, fino alla Cassazione, se le difese ricorrono. Più giudici diversi chiamati a esprimersi sulla legittimità dei provvedimenti, e questo è una garanzia. I due quesiti, più degli altri tre, sono pericolosi perché i cittadini non saprebbero più cosa potrebbe accadere domani e la gente tornerebbe ad avere paura. L’abolizione avrebbe effetti devastanti sulla collettività”. Per essere più chiaro, fa riferimento lo stalking, reato caratterizzato proprio dalla reiterazione. “In una situazione del genere, escludere il rischio di nuovi atti persecutori esporrebbe la vittima a rischi concreti e, del resto, l’attuazione voluta dal Parlamento del “codice rosso”, con la corsia preferenziale accordata nei tribunali a certi procedimenti, prevede proprio l’adozione di interventi a tutela del soggetto perseguitato”.

Consulta negativa

Affermazioni in contrasto con il pensiero di Gian Domenico Caiazza: “La custodia cautelare deve avere una gradualità nella scelta delle misure più o meno afflittive, e se si vuole mettere mano a questa norma è perché l’applicazione non risponde a certi principi”. Ma la critica, non velata, è alla decisione della Corte Costituzionale di escludere dalla consultazione referendaria due dei quesiti che avrebbero maggiormente invogliato la partecipazione dei cittadini: eutanasia e responsabilità civile dei giudici. “Queste esclusioni pesano – ha chiosato il presidente dei penalisti italiani – anche perché il Parlamento, a suo tempo, ha avuto la possibilità di intervenire e non lo ha fatto. Il referendum, con questa sorta di bavaglio, si presenta azzoppato, perché al voto non sono stati mandati quesiti che avrebbero sicuramente favorito un dibattito più approfondito”.