Record di testimoni arrestati in aula: nove in un processo per truffa aggravata all'Inps

17/11/2022
Udienza penale
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Nove testimoni arrestati in aula durante un processo e giudicati con rito direttissimo dopo una notte trascorsa in carcere. Riemerge dai polverosi archivi della cronaca giudiziaria reatina una vicenda che all'inizio degli anni 60 suscitò molte reazioni perché non si ricordavano casi analoghi, così clamorosi, riferiti all’alto numero di persone finite in manette (sì, proprio così), dopo l’ordinanza emessa dal tribunale, e trasferite dai carabinieri nella casa circondariale di Santa Scolastica in attesa dell’udienza fissata per il giorno successivo. Notte che portò consiglio al gruppo di testimoni reticenti, tutti difesi dall’avvocato Italo Carotti, uno dei principi del foro reatino dell’epoca, tanto che in sette “ritrovarono” davanti ai giudici la memoria e corressero le false affermazioni rese in precedenza evitando la condanna, mentre altri due furono assolti per insufficienza di prove.  

La truffa

Tutto era cominciato con un processo per truffa aggravata all’Inps che vedeva imputato un imprenditore boschivo di Salerno, accusato dal giovane sostituto procuratore Gaetano La Sala, destinato a diventare quindici anni dopo procuratore capo a Rieti, di aver percepito indebitamente dall’istituto previdenziale un milione di lire alterando sul registro presenze il numero delle giornate lavorative svolte dai dipendenti. Ma a scatenare l’ondata di arresti fu la deposizione di un ex operaio, caduto in diverse contraddizioni durante l’interrogatorio reso davanti al collegio giudicante presieduto dal giudice Mario Tosti, con a latere i colleghi Marchioni e Antonioni (quest’ultimo diventato negli anni 80 presidente della Corte di Appello di Roma), arrivato al punto di accusare un ispettore del lavoro di avergli fatto firmare il verbale redatto dopo gli accertamenti, senza averglielo fatto leggere. L’incriminazione del testimone chiesta dal pubblico ministero precedette quella di altri otto operai che avevano lavorato alle dipendenze dell’imprenditore, anche loro apparsi reticenti davanti alle domande del tribunale e dell’accusa, e così a tutti fu contestata la falsa testimonianza. Inutili gli inviti rivolti da parte del presidente ai potenziali imputati di dire la verità, l’ordinanza di arresto fu l’inevitabile conseguenza.

La direttissima

Scene al limite dello stupore si vissero in tribunale al momento di trasferire in carcere i nove testimoni. I carabinieri in servizio presenti in tribunale erano pochi e così dalla caserma di via Cintia furono fatte giungere diverse pattuglie incaricate di trasferire a Santa Scolastica, a bordo di alcune camionette, il gruppo di arrestati ai quali il collegio aveva pure negato la concessione della libertà provvisoria in attesa della direttissima chiesta dall’avvocato Carotti. La notte trascorsa da reclusi portò evidentemente consiglio agli operai. Nel processo iniziato nel pomeriggio successivo, in un’aula affollata dai parenti degli arrestati, i testimoni reticenti, a turno, sfilarono davanti al collegio correggendo, con diverse sfumature, le deposizioni rese il giorno prima. Sintomatica fu quella resa da un ex operaio: “Quello che dichiarai all’ispettore del lavoro Alfredo Magellini fu la verità, mentre quello che ho detto ieri aveva il solo scopo di agevolare l’imprenditore con il quale parlai durante la liquidazione dei conti. In quell’occasione mi disse di aiutarlo ma senza promettermi alcun compenso”. Sulla stessa linea del ripensamento risultarono le affermazioni di altri sei testimoni, mentre gli ultimi due confermarono quanto affermato il giorno prima. A tarda sera, come avveniva spesso in passato quando i processi andavano avanti ininterrottamente, dopo quasi due ore di camera di consiglio il presidente Mario Tosti lesse la sentenza: per sette operai “pentiti” arrivò il proscioglimento, mentre i restanti due, di cui il pm La Sala aveva chiesto la condanna per falso e calunnia, furono assolti per insufficienza di prove.