L'addio al Foro dell'avvocata Marcucci è arrivato prima della toga d'oro

08/11/2020
Il legale a piazza Bachelet
Il legale a piazza Bachelet
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Ha lasciato il foro due mesi prima di festeggiare la toga d’oro, il riconoscimento attribuito agli avvocati che festeggiano mezzo secolo di attività, ma la scelta non è stata il frutto di un preciso calcolo. Più semplicemente, a Maria Antonia "Titti" Marcucci, una veterana dell’avvocatura reatina, il fatto che il 25 febbraio 2020 segnava la data delle nozze d’oro con la toga, è stato ricordato quando ormai aveva formalizzato la cancellazione dall’albo (deliberata alla fine del 2019) e adesso al Consiglio dell’Ordine di Rieti non sanno cosa fare. Da una parte c’è il regolamento (cinquant’anni dal giorno dell’iscrizione all’Ordine), dall’altra una professionista che ha sempre riscosso un apprezzamento unanime tra i colleghi e i magistrati, alla quale verrebbe negato il giusto riconoscimento. Una questione di sensibilità, oltre che burocratica, che il Consiglio dovrà risolvere entro l'anno, magari studiando una deroga alla norma.

Lei, la diretta interessata, la prende però con filosofia: “Certo, se mi avessero informata magari avrei aspettato altri due mesi prima di cancellarmi, perché fa piacere ricevere un premio del genere, ma era giunto il tempo di lasciare e così la ricorrenza è sfuggita”. Una frase signorile, per non dare fiato a qualche, inevitabile, polemica che già serpeggia all’interno dell’avvocatura per questo “strano” caso che non ha precedenti, fatta eccezione per il rifiuto dell’avvocato Gianni Persio a ricevere la toga d’oro in tribunale. Una rinuncia motivata da Persio con la volontà di non spettacolarizzare certi eventi, comunicata all’epoca con una garbata lettera inviata al presidente dell’Ordine Antonio Belloni, e la cosa si chiuse lì, senza strascichi. Analogo epilogo per lo stesso Belloni, che preferì un sobrio festeggiamento privato con amici e colleghi nel suo studio.

Il personaggio

Triestina di nascita (madre friulana e padre reatino), Maria Antonia “Titti” Marcucci è arrivata a indossare la toga dopo aver fatto per nove anni un altro mestiere, l’insegnante di educazione civica e francese nelle scuole provinciali. Poi, la scelta che la portò a diventare una delle prime donne avvocato (pratica legale svolta nello studio dell’avvocato Marzio Bernardinetti, poi accolta in quello di Giovanni Vespaziani), insieme a Maria Giuseppina Truini e Elena Fiordeponti, in un periodo, gli anni 70, in cui nei tribunali dominava la figura maschile. Lei ricorda quel momento storico: “Un avvocato con la gonna appariva una cosa strana, era difficile per noi affermarci e il clima di chiusura nei confronti della figura femminile mi spinse a impegnarmi ancor di più per dare il mio contributo alla realizzazione del sogno illuministico di libertà e uguaglianza “.

Ragazzine violentate

E’ legato proprio all’universo femminile uno dei primi e più importanti processi che hanno impegnato la Marcucci davanti ai giudici: “Il pretore Marcello Chiattelli mi nominò curatore speciale di tre ragazzine violentate dal padre, il quale era imputato anche di infanticidio per aver ucciso il neonato partorito da una di loro, frutto degli stupri che commetteva. Non fu un processo facile, i giudici della Corte di Assise sembravano prevenuti e ponevano alle ragazzine delle domande brutali e insinuanti, quasi fossero loro le responsabili. Mi ribellai, facendo intervenire il Movimento di liberazione della donna, la vicenda assunse una rilevanza nazionale e le prese di posizione da parte dei movimenti femministi contro la violenza sulle donne e tra le mura domestiche si rivelarono molto forti. Alla fine il clima cambiò, gli abusi emersero in tutta la loro drammaticità e il padre orco fu condannato a 30 anni di carcere.”

Fallimenti e successi

“Titti” Marcucci è stata protagonista nel penale (anche pretore reggente a Rocca Sinibalda), ma anche in altri campi. Trent’anni componente delle commissioni tributarie provinciale e regionale, e poi curatore fallimentare nominata dai giudici in procedimenti di particolare rilevanza, alcuni sfociati in processi per bancarotta, come quello legato al fallimento della società cooperativa Tekno Polimeri, il capannone costruito a Castel S. Angelo, dove debiti con le banche e tangenti ai politici finirono per provocare il dissesto. Storie di crack, ma anche di procedure concluse bene.

E’ il caso di ricordare, su tutte, la vicenda delle Officine Torda, società ammessa nel 2004 dal tribunale al concordato preventivo, che l’avvocata Marcucci, commissario liquidatore, riuscì a chiudere nel migliore dei modi. Ottenne la riassunzione da parte della società Tubi Spa, subentrata nella proprietà dello stabilimento, di tutti i dipendenti, assicurando il pagamento dei debiti vantati dagli operai e da altri creditori privilegiati, saldando poi le somme reclamate dai chirografari, tra i quali l’ex Cassa di Risparmio di Rieti, in una percentuale superiore al 40 per cento. “Non fu una trattativa semplice, ma alla fine furono salvati i posti di lavoro e garantita la continuità produttiva” è il commento.

Appesa la toga al chiodo, la Marcucci si dedica adesso al mondo della cultura, seguito in via telematica a causa del Covid. Non ha rimpianti: “Ho fatto molti sacrifici e ho ricevuto altrettante soddisfazioni, prima fra tutte il riconoscimento di quei clienti dei quali ho curato gli affari per decenni, e che sono stati poi sostituiti dai figli. Nella vita occorre saper mutare con i tempi, per fare bene”.