La Sabina Universitas rilancia e raddoppia i corsi accademici, ma per gli avvocati non c'è spazio

08/08/2022
Palazzo Aluffi, sede dell'università
Palazzo Aluffi, sede dell'università
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Il programma dei corsi annunciato per il nuovo anno accademico dalla Sabina Universitas è ambizioso e l’offerta formativa potrà contare nel prossimo biennio sull’arrivo di 30 milioni provenienti dai fondi per l’istruzione, oltre che su accordi di collaborazione rafforzati che coinvolgeranno le università de La Tuscia e de La Sapienza, storiche partner di Rieti, disponibili ad aprire una sede nel capoluogo sabino. Corsi che partiranno a settembre di quest’anno e proseguiranno poi nel 2023 e 2024, riguardanti ingegneria in italiano, economia circolare e il raddoppio di quelli relativi all’ambito medico. Corsi che si aggiungono a quelli già presenti, ma a fronte di tanta abbondanza c’è una categoria, o meglio un socio del Consorzio, che resterà ancora una volta a bocca asciutta, tagliata fuori da qualsiasi progetto.

Sono gli avvocati, entrati a far parte del Consorzio sul finire degli anni 90, convinti dalla Sabina Universitas con l’impegno a istituire corsi triennali di giurisprudenza, con laurea presso l’ateneo di riferimento, o di scienze giuridiche. Speranze che, nel corso degli anni, sono state disattese, anche per il mancato sostegno registrato da parte della Fondazione Varrone a diverse iniziative assunte a cavallo tra il 1999 e il 2002, tanto che nel 2015 il Consiglio dell’ordine deliberò l’uscita dal Cda dell’università dopo il voto espresso dall’assemblea degli iscritti: “La nostra presenza non ha alcuna giustificazione” fu il refrain rimbalzato (ancora oggi) tra gli iscritti.  

La Sabina Universitas, però, ancora adesso si rifiuta di prendere atto della volontà dell’avvocatura perché gli altri soci non sono disposti a ridistribuirsi le quote di chi esce dalla compagine, e così lo scontro tra il Consorzio e il Consiglio dell’ordine si è trasferito davanti al tribunale delle Imprese di Roma. Il giudice, al termine dell’ultima udienza e prima della prossima, fissata dopo il rinnovo del direttivo forense in programma a gennaio 2023, ha invitato le parti a trovare un accordo che metta fine al contenzioso, ma l’unica strada percorribile è quella di motivare la presenza delle toghe nel polo universitario. Hanno iniziato a lavorarci i due presidenti, Antonio D’Onofrio e Attilio Ferri, eredi di una questione che arriva dal passato, ma non è facile trovare una soluzione e, soprattutto, i soldi necessari. Oltretutto, nel mondo della giustizia sono in atto da tempo diversi e importanti cambiamenti che riguardano anche la professione dell’avvocato e le nuove specializzazioni che la investono.

Soluzione lontana

Un vicolo cieco, dal quale bisognerà pur uscire. “Stiamo lavorando per individuare un modo che giustifichi la nostra presenza all’interno del Consorzio – spiega l’avvocato Ferri – in quanto paghiamo una quota associativa di 8000 mila euro all’anno, ma senza ricevere nulla in cambio. A oggi, non abbiamo ricevuto segnali concreti dalla Sabina Universitas per sbloccare la situazione che si trascina irrisolta da troppo tempo”. Eppure, in passato, le occasioni per concretizzare le speranze dell’avvocatura non sono mancate, come quelle che non trovarono adeguata risposta nella Fondazione Varrone, inizialmente dichiaratasi disponibile a sostenere i programmi, salvo poi eclissarsi. Ricorda il presidente Ferri, che sulla questione si sta particolarmente impegnando: “Io stesso, che ero membro del Consiglio dell’ordine, partecipai nel 2002, insieme al presidente Antonio Belloni, alla collega Anna Maria Barbante e al presidente della Provincia Calabrese, all’incontro con il preside della Facoltà di Giurisprudenza Angelici, in cui ci accordammo per fondare a Rieti una scuola di formazione post universitaria. Sarebbe dovuto partire a settembre di quell’anno, ma non ebbe seguito, e neppure in seguito ci fu la possibilità di riprendere il discorso ”.

Non andò diversamente l’esito del confronto avviato con l’università Roma Tre e con il progetto sposato dall’ex sottosegretario alla Giustizia del governo Monti, Salvatore Mazzamuto, che dirigeva a Leonessa la scuola internazionale di diritto ed economia “Tullio Ascarelli”, organica all’ateneo romano. “Le istituzioni locali di Rieti, però, non furono pronte a raccoglierlo – e’ il ricordo del professore - Avevo convinto, infatti, il rettore ad avviare un corso triennale in Giurisprudenza, con il biennio a Roma, firmando un accordo con l’università sabina. Ebbi diversi colloqui con la Fondazione Varrone e con la Provincia, promisero sostegno, ma nonostante il senato accademico di Roma Tre avesse adottato la delibera di convenzione, i due enti non risposero più ai nostri solleciti. Fu un vero peccato, perché a Rieti non seppero prendere l’ultimo treno utile viste le difficoltà a reperire i fondi necessari”.