La lottizzazione è abusiva e non può essere sanata, dopo la confisca arriva la beffa per la banca

17/12/2021
Alcune villette di Colle della Civetta
Alcune villette di Colle della Civetta
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La lottizzazione è abusiva e non presenta i requisiti per ottenere una sanatoria, così la banca che aveva concesso un mutuo milionario alla società incaricata di costruire le case, deve dire addio al recupero del prestito. E’ l’epilogo-beffa che in sede civile ha fatto calare il sipario sull’azione risarcitoria avviata da un importante istituto di credito di Firenze nei confronti di una società immobiliare di Roma, coinvolta nel processo sugli abusi commessi in fase di approvazione della lottizzazione di Colle della Civetta, nel comune di Toffia, che nel 2015 portò il tribunale di Rieti a condannare sei imputati per concorso in abuso d’ufficio, a pene tra i diciotto e i nove mesi, e a dichiarare prescritte le violazioni edilizie.

Processo che, a distanza di sei anni, pende ancora in Corte di Appello, ma la sentenza, quando arriverà, rappresenterà solo una formalità perché il reato è prescritto da tempo. Semmai, l’unico interesse potrà suscitarlo la decisione sulla confisca delle case (rimaste allo stato grezzo) disposta dal collegio presieduto dal giudice Francesco Oddi, in quanto verrebbero assegnate al patrimonio comunale, ma stante la decisione del tribunale civile di dichiarare non sanabile la lottizzazione, realizzata su un terreno agricolo e in violazione di ogni normativa urbanistica, l’amministrazione si ritroverebbe con immobili che non sarebbe possibile vendere sul mercato immobiliare per rimpinguare le casse pubbliche.

Il discorso non cambia per la banca toscana che aveva promosso la procedura esecutiva in forza dell’ipoteca a garanzia accesa sui due milioni di euro concessi negli anni 2000 alla società di costruzioni romana. Determinante per arrivare al giudizio di estinzione della procedura è stata la consulenza di ufficio affidata dal giudice Gianluca Verico all’ingegner Alessandro Boncompagni, incaricato di stimare la conformità urbanistico-edilizia degli immobili sequestrati dagli uomini dell’aliquota Forestale della procura, impegnati in quegli anni di particolare sintonia tra magistrati e inquirenti, in inchieste contemporanee su abusi edilizi compiuti a Casaprota, Collevecchio, Tarano e Leonessa.

La relazione

La relazione finale ha evidenziato l’impossibilità di sanare la lottizzazione, per poi prendere in esame anche il calcolo dei costi necessari a ripristinare lo stato quo ante dei terreni, riportandoli cioè alla condizione agricola iniziale. Ebbene, da tale operazione è derivata la non commerciabilità dei beni in quanto i costi di demolizione, calcolati attorno a 280 mila euro, restituirebbero un’area di circa 17 mila metri quadrati, per un valore agricolo complessivo tra i 25 e i 30 mila euro. Come dire che in caso di conferma da parte della Corte di Appello della confisca delle case (rimaste allo stato grezzo) ordinata dal tribunale di Rieti nel 2015 e della conseguente assegnazione al patrimonio pubblico, al Comune di Toffia non converrebbe neppure demolirle.

Al massimo, potrebbe destinarle ad attività di magazzino, deposito, ma non a finalità abitative. Il processo sul caso Toffia, dopo una sospensione, finì anche all’esame della Corte Costituzionale in seguito all’eccezione sollevata dal pubblico ministero Lorenzo Francia, titolare dell’inchiesta, e fatta propria dal tribunale, su una questione di legittimità relativa alla confisca di opere edilizie abusive in caso di sentenza penale di “non condanna”. La Consulta chiarì tutto dopo un anno: lavori abusivi e terreni potevano essere destinati al patrimonio pubblico anche in caso di prescrizione e non necessariamente di condanna. Ma ora, dopo l’epilogo della causa civile, al Comune di Toffia non sapranno che farsene.