Addio a Di Blasio, l'ex direttore di Santa Scolastica collaboratore di Falcone

06/04/2021
Enzo Di Blasio
Enzo Di Blasio
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Rapporti importanti, collaborazioni privilegiate con magistrati e vertici delle Forze dell’ordine, ma evitando ogni forma di visibilità. Crescenzo “Enzo” Di Blasio, scomparso a 70 anni, ex direttore del carcere di Santa Scolastica, è stato un reatino illustre, stimato dal mondo dell’amministrazione penitenziaria che gli aveva affidato, durante la sua carriera, la direzione di alcuni carceri di massima sicurezza in Italia e la gestione dei maggiori pentiti di mafia che per alcuni periodi, durante gli anni 80, sono stati reclusi nel carcere di Rieti di Santa Scolastica.

Ma, soprattutto, Di Blasio fu fidato collaboratore del giudice Giovanni Falcone, conosciuto a Palermo dove era stato spedito a dirigere il penitenziario dell’Ucciardone. Insieme a lui e a Gianni De Gennaro, capo della Criminalpol e futuro capo della Polizia, organizzò il trasferimento nel carcere di via Terenzio Varrone dei pentiti più importanti, le cui rivelazioni costituirono la base dei principali processi istruiti contro Cosa Nostra.

Fu così che a Santa Scolastica, per diversi periodi negli anni ’80, soggiornarono Tommaso Buscetta (brevemente, appena estradato dal Brasile), Francesco Marino Mannoia, Salvatore “Totuccio” Contorno e, più a lungo, Antonino Calderone, appena sfuggito a un attentato nel carcere di Marsiglia e per questo spostato in tutta fretta a Rieti. Fu Di Blasio, insieme al maresciallo degli agenti di custodia Felice Giraldi, ad organizzare il soggiorno di Falcone facendo allestire per lui una stanzetta interna dove, durante le sue trasferte reatine, interrogava Calderone.

Il ricordo

Di Blasio ricordava sempre quel periodo come uno dei più significativi della sua vita: “Falcone non amava inutili sceneggiate, era una persona perbene, precisa, amante della discrezione. Mi chiese di trovare un avvocato di fiducia che potesse assistere Calderone durante gli interrogatori e io contattai il presidente dell’ordine Giovanni Vespaziani. L’avvocato, all’inizio, non fece i salti di gioia per la consapevolezza di dover assumere un incarico non certo di poco conto. Però, dopo il primo interrogatorio condotto da Falcone, confermò l’impegno che aveva preso e da allora fu sempre presente, dimostrando una grande professionalità.

Del resto, la presenza di Calderone richiamò a Rieti tutti i magistrati di Palermo che si occupavano durante quegli anni di lotta alla mafia. Vennero il giudice istruttore Paolo Borsellino e quelli del pool antimafia, dal procuratore della repubblica Curti Giardina ai sostituti De Francisci, Sciacchitano, Natoli e Ayala. Loro, quando avevano finito, andavano a dormire in albergo, Falcone invece sorprese tutti perché voleva stare dentro il carcere. E questo creò un certo imbarazzo tra il personale penitenziario che certo non era abituato a convivere con un personaggio del genere, imbarazzo che però durò molto poco.

La carriera

Laureato in legge, figlio dello storico maresciallo dell’Esercito Nicola, in servizio alla Verdirosi,  l’ex direttore, dopo quello di Firenze dove aveva cominciato la sua carriera, aveva diretto alcuni carceri di massima sicurezza in Italia, tra i quali quello di Ascoli Piceno durante la detenzione di Totò Riina, la sezione dei detenuti politici in quello romano di Rebibbia, che gli valse anche la vita sotto scorta per alcuni anni, perché in un covo delle Brigate Rosse fu rinvenuto il piano di un attentato progettato dai terroristi nei suoi confronti. Ma gestì anche la detenzione domiciliare del comandante nazista Erich Priebke e contribuì alla riorganizzazione degli istituti di pena in Italia, non mancando poi di collaborare alla stesura delle norme dell’articolo 41 bis per i detenuti mafiosi. Ruoli importanti, per una vita condotta lontano dai riflettori.